A cura di Federica Candido con la collaborazione di Sara Giorgetti e Michele Trabucco

Il tuo romanzo ci offre uno spaccato molto interessante (e autentico) rispetto al mondo della scuola e, in particolare, del precariato atavico che la contraddistingue; inoltre, la storia della protagonista e dei suoi alunni che seguiamo nel procedere dell’anno scolastico ci consegna un’istantanea della complessità, sul piano sociale, religioso e ideologico che attraversa le nostre società. Tu hai anche insegnato in alcune scuole superiori romane. Cos’è la materia alternativa secondo la tua esperienza diretta? E cos’è la materia alternativa che insegna la professoressa del romanzo?

La materia alternativa nella mia esperienza diretta è stata varie cose. Per esempio, nelle scuole superiori si tende a inserire l’ora di religione all’inizio o alla fine della mattinata, in modo tale che i ragazzi che non si avvalgono di questo insegnamento entrino dopo o escano prima. Più in generale può diventare la possibilità di trascorrere un’ora a scuola studiando liberamente. La scuola in cui ho insegnato aveva un’utenza di ragazzi e ragazze stranieri e la maggioranza non si avvaleva di IRC. Lì non era possibile far fare loro studio libero perché gli alunni erano tantissimi; quindi, ho pensato che la materia alternativa avrebbe dovuto trattare problematiche sociali e giovanili che nelle materie curricolari non trovano il loro spazio: la pornografia, i rischi della rete, del razzismo, del sessismo. Poteva diventare un insegnamento dialogico con le alunne e gli alunni.
Ciò che la professoressa del romanzo insegna (a livello di contenuti e di programma) è quello che ho insegnato io durante le ore di materia alternativa. Anche se nel libro ci sono scene e personaggi inventati, perché io ho scelto di scrivere un romanzo, i contenuti sono quelli che ho affrontato nella mia esperienza a scuola. Nel momento in cui mi sono trovata di fronte al compito di insegnare materia alternativa ho pensato che fosse necessario attingere alle mie conoscenze e alle tematiche che avevo studiato a partire dal dottorato. Per offrire alle studentesse e agli studenti un insegnamento di qualità dovevo concentrarmi su ciò che sapevo.

1. Che rapporto ha la tua protagonista con la scuola che tu hai descritto in termini così realistici? Come descriveresti la relazione che si pone tra la sua precarietà sul lavoro e la sua precarietà sul piano affettivo? E che rapporto ha questa precarietà con l’insegnamento della materia alternativa?

Nel romanzo la professoressa non ha molti rapporti con la scuola. La sua figura tende ad essere dimenticata, perché insegna materia alternativa; è costretta a partecipare a tutti i 18 consigli di classe, ma viene in qualche modo invitata a non parlare. Interviene solo quando sente che con la sua voce potrebbe opporsi a un’ingiustizia. Si gode la sua condizione di oblio perché proprio questa condizione le dà libertà, ma rinuncia a questo stato di invisibilità quando sente che i suoi colleghi adottano criteri diversi nella valutazione degli alunni stranieri.
Dal punto di vista relazionale ai nostri tempi la precarietà lavorativa si intreccia a quella affettiva. Esiste una letteratura molto ampia su questo argomento. Dacché è cambiato il lavoro, anche la struttura affettiva e il concetto di relazione sono vacillati.
Esiste un legame fortissimo tra l’insegnamento di alternativa e la precarietà. Di fatto, la chiamata per la supplenza di materia alternativa arriva sempre almeno alla fine di ottobre: solo quando si è definito tutto l’organico, quando la segreteria si rende conto che il personale docente non è sufficiente per coprire le ore di materia alternativa, allora i precari vengono chiamati. Questo è il controsenso: pur dovendo essere garantita costituzionalmente l’insegnamento della materia alternativa non è strutturato.
Nella mia esperienza reale, la scuola ha attinto alla graduatoria di lettere, ma non so bene se questa scelta sia derivata da una decisione della dirigenza oppure se esistono effettivamente delle indicazioni ministeriali o una normativa su questo tema.

2. Veniamo alla scuola di oggi. L’insegnamento di religione cattolica ha un programma ministeriale definito, degli obiettivi didattici e, tra le altre cose, un’ampia offerta di manualistica scolastica attinente a questo settore. La materia alternativa non ha un programma ministeriale, non ha libri di testo di riferimento e, cosa sorprendente, è demandata la maggior parte delle volte all’azione isolata dei dirigenti scolastici o dei docenti che impostano un minimo di progettualità di anno in anno. Pensi che il mancato tentativo da parte dello Stato di sopperire a questo vuoto, che è didattico e al contempo normativo, sia assenza di volontà o frutto di scelte politiche?

La tua domanda mi ha fatto molto riflettere; in un primo momento, su due piedi, ho pensato che fosse semplicemente un vuoto di potere. Poi però mi sono detta che si tende sempre a sottovalutare l’influenza che il Vaticano ha sulla scuola, sulla formazione dei docenti. Anche se ciò sembra anacronistico. Non bisogna limitarsi a considerare questo vuoto come derivante dalla generale disorganizzazione della scuola italiana. Potrebbe invece trattarsi di un vuoto di potere e normativo che ha delle ragioni politiche e storiche precise: penso che se l’ora alternativa venisse strutturata – così come avviene nel romanzo – con argomenti di attualità, di interesse per i ragazzi e le ragazze, potrebbe causare un ulteriore esodo dall’ora di religione.

3. I dati degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento di religione cattolica registrano negli ultimi anni un calo consistente. Dal tuo punto di vista, ritieni che l’insegnamento della materia alternativa dovrebbe prevedere quei contenuti che tratta la professoressa del romanzo (sessismo, classismo, bullismo, differenze di genere) oppure pensi che sia meglio riempire quel vuoto con contenuti relativi all’insegnamento – laico, storico-critico, scientifico – del fatto religioso?

Quello che viene insegnato nel romanzo, viene insegnato da una docente che ha quel tipo di conoscenze e quel tipo di attitudini; la professoressa ha una confidenza particolare con i ragazzi nel trattare determinati temi, perché è molto giovane e vicina a loro. Se dovessi immaginare il programma dell’ora alternativa nei miei desiderata, mi piacerebbe che ci fosse lo spazio per la componente spirituale dell’umanità: la riflessione, il respiro, la morte…
Inoltre, sarebbe importante che si insegnassero le religioni con l’obbiettivo di sfatare preconcetti e pregiudizi. Avevo una collega di IRC (che stimavo molto) che evitava di dire ai suoi alunni che Gesù era ebreo!

4. Come dovrebbe essere scelto l’insegnante?

Sarebbe bello se vari insegnanti di discipline diverse insegnassero anche la materia alternativa. È una visione utopica, ma in questa diatriba tra IRC e alternativa, viene dimenticata la possibilità di dedicarsi a coltivare la componente spirituale degli studenti e delle studentesse.

5. Dopo la pubblicazione del tuo libro, ti è capitato di avere un confronto (e se sì di che tipo) con le colleghe e i colleghi, le ragazze e i ragazzi che hai incrociato durante la tua esperienza di docenza?

Sono stata quasi invisibile a scuola, come la professoressa del romanzo. Ho incontrato ex colleghi e alunni, ma ad eccezione di una ragazza molto studiosa che è venuta alla presentazione del libro in un’occasione, nessuno mi ha contattata per parlarmene. Del resto, io ho scritto un romanzo: ho inventato personaggi e situazioni, storie, sia a scuola che nella vita privata della protagonista, quindi è molto difficile che qualcuno dei miei colleghi abbia potuto riconoscersi nel libro. E poi, chissà se lo hanno letto!

 

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