A cura di Francesco Carta

Il libro di Filippo Binini, insegnante di religione cattolica nella scuola primaria, si presenta diviso in due parti. La prima è dedicata a una breve disamina dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) in Italia. L’autore fornisce una breve ricostruzione della storia dell’IRC per poi concentrarsi, con il sostegno della più recente storiografia scientifica, sull’analisi dell’attuale realtà socio-religiosa italiana, caratterizzata da un pluralismo sempre più marcato, in cui tale insegnamento si inserisce. Binini, in seguito, contestualizza l’IRC all’interno della realtà europea paragonandolo alle differenti proposte di insegnamento del fatto religioso e presentando le più recenti riflessioni e dibattiti internazionali sul tema. Presenta, infine, con una certa vena critica, la situazione in cui versa oggi l’IRC nelle scuole italiane. La fotografia che emerge da quest’ultima parte è quella di un insegnamento che non riesce ad adattarsi pienamente alla realtà plurale in cui viene proposto. Sconta, infatti, secondo l’autore, il peso della gestione confessionale degli insegnanti e dei programmi: nonostante l’insegnamento sia a tutti gli effetti inserito all’interno della scuola pubblica «la gestione effettiva del “sapere religioso” continua però a dipendere dal potere regolativo e discrezionale della Chiesa, che forma gli insegnanti, ne stabilisce l’idoneità o meno ad insegnare, stabilisce i programmi» (p. 35). Dal quadro delineato emerge, dunque, una situazione di crisi il cui dato più emblematico è la crescita costante del numero di non avvalentesi (le tabelle riportate nel libro lo esplicitano chiaramente) a cui la scuola italiana non riesce, nella maggior parte dei casi, a garantire una vera e propria alternativa, con il rischio sempre più concreto di isolare le minoranze. L’autore fa emergere anche il problema della valutazione degli avvalentesi che, com’è noto, non è determinante per l’elaborazione del punteggio finale dello studente. La conseguenza è un impegno minimo da parte dei ragazzi che vedono nell’ora di religione un momento di defaticamento, secondo una percezione, nota l’autore, condivisa spesso dagli stessi insegnanti che, non vincolati da un programma definito, finiscono per assumere il ruolo di “confidenti degli studenti” (p. 34) e affrontano argomenti frutto di improvvisazione.

Si colloca in questo quadro la proposta che occupa tutta la seconda parte del libro. Si tratta della descrizione di un programma pensato per gli insegnanti di religione cattolica della scuola secondaria superiore. Per ogni classe viene individuato un tema generale da svolgere durante l’anno e si presentano, in breve, i contenuti delle varie lezioni (poi ripresi in utili schemi riassuntivi collocati in appendice). Alle classi prime è proposta una riflessione
sui grandi quesiti che l’uomo si è posto fin dagli albori della storia (Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo?) e un’introduzione sul concetto di religione; alle seconde un’analisi sul rapporto tra cultura e religione e un’introduzione alle due fedi maggioritarie del continente europeo, il cristianesimo e l’islam; alle terze un approfondimento sulle religioni orientali. Per tutte le fedi trattate si propone una contestualizzazione innanzitutto storica, che aiuti poi a presentare i rispettivi contenuti di fede, e un approccio generale che stimoli gli studenti ad apprendere grazie alla lettura dei rispettivi testi sacri e all’ascolto di testimoni diretti, da ricercare, prima di tutto, all’interno delle stesse classi. Agli studenti di quarta e quinta si propone un’analisi della realtà contemporanea e i ragazzi sono chiamati a confrontarsi con i grandi fenomeni che la caratterizzano: la secolarizzazione, l’ateismo scientifico, l’agnosticismo, il pluralismo religioso, il fenomeno delle “religioni dai da te”, la nascita e sviluppo dei movimenti carismatici, il fondamentalismo religioso. Gli studenti di quinta saranno chiamati anche a riflettere sul problema del male, l’antisemitismo e la shoah.

Questi e altri contenuti sono presentati da Binini con un occhio attento a non isolare l’insegnamento di religione cattolica: ripetuto e costante è l’invito a cogliere tutte le potenzialità che questi temi possono avere se trattati in rapporto ad altre discipline come la letteratura, la filosofia e la storia, con cui è sempre ricorrente l’invito alla collaborazione.

Soprattutto in questa seconda parte l’autore sceglie un tono “didattico”. Egli, infatti, non si limita esclusivamente a elencare quali contenuti debbano essere affrontati ma li tratta in breve (come nel caso delle religioni orientali) esemplificando alcuni percorsi. Con tutta evidenza Binini ritiene di dover affrontare questi temi perché si rende conto che il pubblico a cui in preferenza si rivolge, ossia i suoi colleghi delle scuole secondarie superiori, non è formato in tal senso. Proprio la carenza formativa su questi argomenti della maggioranza degli attuali insegnanti di religione costituisce un limite evidente della proposta del libro. Tale limite è peraltro sottolineato in fase conclusiva dallo stesso autore: per essere attuato questo programma implica un surplus di formazione da parte degli insegnanti, che, spesso, hanno solide basi scientifiche esclusivamente riguardo alla religione cristiana.

Questo limite ne evoca, in realtà, un altro più generale. A parere di chi scrive, Binini non trae fino in fondo le vere conclusioni dalla sua analisi, ovvero che il meditato programma che egli propone è adottabile veramente solo previa riforma dell’insegnamento attuale di religione cattolica e/o dei suoi insegnanti. Intravvederei due differenti possibilità. La prima, di stampo fortemente conservativo, consisterebbe in un cambiamento dei percorsi di formazione degli insegnanti che dovrebbero acquisire, anche esclusivamente all’interno di università pontificie, tutte le competenze per presentare un insegnamento di religione cattolica attento alla pluralità delle religioni e, in generale, al fatto religioso.

La seconda, più coraggiosa e risolutiva, è quella di trasformare l’IRC in un insegnamento sul fatto religioso, di matrice non confessionale. La formazione degli insegnanti potrebbe essere facilmente garantita dallo stato attraverso percorsi universitari che, peraltro, già esistono, come le lauree magistrali in Scienze delle Religioni. In questo modo sarebbe, peraltro, molto più facile garantire un livello alto di selezione attraverso l’indizione di concorsi pubblici. Mi sembra, inoltre, che questa sia l’unica strada che, ponendo come obbligatoria la materia, permetta di risolvere il problema dei non avvalentesi che, allo stato attuale, rischiano di permanere in una condizione di quasi analfabetismo religioso. Binini, non a caso, affronta nuovamente alla fine del libro il problema, proponendo una strategia per coinvolgerli all’interno di unità didattiche specifiche concordate tra gli insegnamenti di religione cattolica e i titolari di altri insegnamenti. La proposta è leggibile da due punti di vista: da un lato, potrebbe essere un necessario stratagemma per far acquisire agli studenti delle competenze che altrimenti non conseguirebbero (e che sono tanto più importanti quanto più sono mirate alla costruzione di un cittadino che si affaccia alla vita adulta in una realtà plurale), dall’altro, invece, potrebbe essere vissuta come una sorta di “inganno” per gli studenti non avvalentesi che potrebbero semplicemente rivendicare il diritto di ottenere le stesse competenze da un insegnante che non sia di religione cattolica.

Il libro, insomma, presenta un bel programma e una lettura stimolante per tutti gli insegnanti di religione cattolica che potrebbero trarre molti consigli sulla programmazione dei prossimi anni. A chi scrive rimane solo il dubbio se, per muoversi “verso un insegnamento delle religioni” nella scuola pubblica, come recita il titolo della seconda parte del libro, sia più auspicabile un insegnante non scelto e formato da un’istituzione confessionale.

 

Schermo Intero
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