A cura di Isabella De Paolis

Il libro Studenti musulmani a scuola, curato da Antonio Cuciniello e Stefano Pasta, esce nel novembre 2020, edito da Carocci, e riassume parte del lavoro incentrato sulle competenze interculturali e sull’alfabetizzazione del mondo islamico promosso dal PriMED-Prevenzione e interazione nello spazio trans-mediterraneo, in Lombardia. Il testo presenta dieci contributi affidati alla penna di studiosi e studiose che, diversi per competenze disciplinari e per interessi scientifici, convergono nell’attribuire alla scuola e alle agenzie educative operanti negli spazi pubblici un ruolo chiave in ambito di formazione della cittadinanza interculturale che possa, da una parte, ostacolare le manifestazioni di pregiudizi e stereotipie, dall’altra contrastare l’insorgenza di fenomeni di radicalizzazione.

L’introduzione al testo, a quattro mani ad opera dei curatori, aiuta il lettore ad individuare chi siano i musulmani in Italia, fornendo numeri e dati e delineando un breve, ma chiaro, excursus sulle specificità etniche e sulle caratteristiche complesse della presenza musulmana in Italia, in modo da ben definire il fine ultimo del testo stesso, ovvero superare l’ottica multiculturalista a favore di un approccio riconducibile alla “pedagogia interculturale critica” (Santerini, 2017).

Nel contesto attuale è indubbia la realtà plurale, multi-sfaccettata e complessa del mondo della scuola dove convergono figure professionali, dai docenti, agli educatori, agli addetti ai servizi amministrativi; figure genitoriali e alunni che, quotidianamente, sono protagonisti di relazioni sociali varie che pongono in essere criticità e problematiche evidenziate in questo libro e per le quali vengono proposti contenuti da metabolizzare, percorsi da attuare e soluzioni da vagliare.

Grazie ai contributi di studiosi di diritto canonico, pedagogisti, sociologi, antropologi, islamologi ed arabisti, il lettore (un addetto ai lavori o anche chiunque voglia acculturarsi relativamente all’islam) viene accompagnato in un viaggio che, in prima istanza, fornisce i contenuti di base sull’ islam e sui musulmani e, in seconda battuta, con lo sguardo orientato al mondo della scuola, fornisce una panoramica esauriente anche a chi, docente, educatore o assistente, è chiamato a partecipare alla crescita di studenti di culture e fedi religiose diverse da quella cattolica e, dunque, ad interrogarsi sulla necessità di superare l’impasse dovuta alla nota situazione di analfabetismo religioso e culturale.

E’ interessante, a tal proposito, come vengono affrontati i punti essenziali afferenti all’islam tout court, come sciogliere i nodi della confusione semantica attorno ai termini “islamico”, “musulmano” e “arabo”, spesso utilizzati impropriamente come sinonimi; illustrare le linee guida che definiscono le specificità su fede, culto e etica islamica; definire il panorama
epistemologico attorno al binomio occidente versus oriente e accennare ad analisi e tesi, ora storiche, ora sociologiche, ora antropologiche che si sono susseguite a partire dall’attentato alle Torri Gemelle; chiarire il valore di festività e simboli religiosi con uno sguardo alla legislazione.

Se la Fondazione ISMU stima che, al 1° gennaio 2020, gli stranieri presenti in Italia siano 5.923.000 su una popolazione di 59.641.488 residenti, ovvero poco meno di uno straniero ogni 10 abitanti e che il 29% degli stranieri residenti in Italia sia musulmano[1] è evidente la sfida cui è chiamata tutta la comunità scolastica, che dovrà impegnarsi a costruire uno spazio dove più culture e più religioni possano non solo convivere ma arricchirsi vicendevolmente, proprio a partire dalla loro precipua diversità. Risuonano quanto mai adatte le parole di Anna Granata, pedagoga e scrittrice di un contributo del testo in esame , ovvero “La scuola è un luogo altro, uno spazio di riconoscimento di sé, ma anche il luogo dove poter costruire una propria identità autonoma, distinta rispetto a quella della famiglia e della comunità”. Accogliere questa sfida significa, essenzialmente per i docenti, aprirsi ad un’azione educativa e didattica trasversale, formarsi al fine di acquisire le competenze e le abilità idonee a fronteggiare l’alterità culturale e religiosa, fare esperienza e collezionare nuove pratiche rivedibili e spendibili in altri contesti e in altre situazioni sotto il denominatore comune che “l’educazione interculturale non è una eccezione, o un’appendice che essi debbono aggiungere alla loro azione educativa e didattica[2].”

Si tratta di dar seguito a quanto proposto dai pedagoghi summenzionati nonché a quanto dichiarato nel Libro bianco del dialogo interculturale, che viene citato nel testo in esame, dove viene sottolineata la dimensione interculturale di varie discipline insegnate in classe e, da qui, proseguire con la consapevolezza di non di relegare il pluralismo religioso alla sola ora di IRC. Sicuramente la re-introduzione dell’insegnamento di educazione civica[3].

Nel panorama laico della sfera delle scuole pubbliche la “promozione dell’alfabetismo alle religioni, allora, si profila a livello cognitivo come uno strumento necessario per formare gli studenti e le studentesse a una cittadinanza globale” (Giorda, 2009). Vengono, dunque, sollevate proposte e suggerimenti per eventuali itinerari didattici che si muovono attorno alla ricerca di valori comuni come l’origine abramitica delle tre grandi religioni monoteiste, il bacino del Mediterraneo come luogo di incontro-scontri di culture diverse, la somiglianza fonetica di alcuni termini, i fenomeni migratori e le afferenti questioni socio- economico-demografiche oltre ad approfondimenti e confronti di tipo storico, sia diacronico che sincronico, legati a lotte, guerre e relazioni pacifiche che si sono avvicendate nei millenni.

Definito l’ambito di azione generale della questione, ovvero quello summenzionato dell’esigenza di un approccio interculturale di apertura e dialogo in classe volto alla valorizzazione della diversità come arricchimento reciproco, il testo curato da Antonio Cuciniello e Stefano Pasta focalizza l’attenzione su due criticità strettamente legate agli studenti di fede musulmana ovvero la presenza di stereotipie e di pregiudizi e il fenomeno della radicalizzazione dell’estremismo giovanile, che rimandano in maniera speculare alla cosiddetta islamofobia.

Le ragazze velate e, a volte, i tratti somatici; i giorni di festività (non ancora riconosciuti dallo Stato Italiano); i simboli religiosi (quelli cattolici, esibiti in classe); il digiuno di Ramadan; la problematica attorno alla cittadinanza, si configurano come evidenze che sottolineano una sorta di estraneità degli studenti musulmani che avvertono di non appartenere al gruppo classe, nonostante molti di loro siano nati e cresciuti in Italia ma, al tempo stesso, orgogliosamente di fede musulmana. Se tutto ciò può rappresentare, per alcuni, una chiusura introspettiva che va ad incidere sull’autostima e, per altri, l’esibizione di un atteggiamento più ironico e disincantato che conduce al far finta di nulla è palese che, in entrambi i casi, siamo di fronte ad atteggiamenti che necessitano del ricorso ad azioni correttive e che saranno declinate in percorsi formativi ben studiati a livello interdisciplinare, con lo scopo di dar vita a momenti di apprendimento formale e non formali dove gli studenti si possano aprire ad un dialogo inter- e intraculturale in uno spazio di libertà e di confronto. Una libertà che però non deve essere fraintesa con quella libertà di espressione che, troppo banalmente e troppo frettolosamente, fa cadere nella trappola della velocità 2.0 della augmented-reality del web e che, nel caso di insulti e di discorsi di odio nei confronti dei musulmani dà vita ad una vera e propria forma di razzismo, o islamofobia. A tal proposito le pagine di Stefano Pasta passano a rassegna riflessioni e proposte di prevenzione all’islamofobia, a partire dai banchi di scuola, attraverso percorsi didattici che vedano una corrispondenza tra dimensione online e offline e che alfabetizzino gli studenti alla competenza digitale, focalizzando l’interesse alla responsabilità sociale e al pensiero critico.

Quando di islamofobia si parla, non si può non ricordare come gli eventi dell’11 settembre 2001 abbiano contribuito ad alimentare forme di odio sempre più subdole e variegate che hanno, in molti casi, associato l’islam alla jihad e tutti i musulmani ai terroristi armati di al-Qa’ida. Tale lettura distorta, cui ha fatto seguito un’esposizione mediatica supportata da testimonianze varie, non da ultime quelle di Oriana Fallaci e di Cristiano Madgi Allam, che hanno rafforzato la presenza di stereotipie infondate e pericolose, è entrata, nella scuola, con tutte le insidie e gli interrogativi che accompagnano le novità turbolente. Questo è il quadro che fa da sfondo al fenomeno del radicalismo giovanile che, sebbene in Italia sia riconducibile a poche decine di ragazzi, i docenti sono chiamati a riconoscere. Quello che viene definito ‘islamizzazione del nichilismo’ (Roy, 2017) sembra possa reclutare due tipologie di giovani: gli emarginati, socialmente ed emotivamente, provenienti da un background socio-economico basso che non accettano la loro diversità e che soffrono per l’assenza di prospettive future e coloro che, pur provenendo da classi sociali medie, subiscono il fascino del potere e dell’autorità che vuole affermarsi nella dimensione più repressiva. Ne deriva, dunque, “la necessità di un paziente lavoro di inclusione, di integrazione e di dialogo interculturale” (Santerini, 2020). Vengono proposti, nel libro in oggetto, diversi progetti formativi europei che, analizzando la propaganda da narrazione estremista, propongono esempi di contro-narrazione pacifica, fondata sui principi della cittadinanza democratica e basata sul suscitare emozioni positive. Al di fuori delle mura scolastiche, vengono proposte uscite didattiche pianificate all’interno di programmazioni multidisciplinari e vengono avanzati suggerimenti di incontri con i luoghi dell’islam, dalle moschee ai centri di preghiera, alle associazioni culturali che, oggi sempre di più, si stanno aprendo a celebrazioni istituzionali come la condivisione delle cene di iftār (la fine del digiuno).

Sono apprezzabili i contributi a stampo squisitamente didattico; un caso di studio su una ricerca della didattica della storia nei paesi del Golfo Persico che prende in considerazione lo studio dei manuali utilizzati nelle scuole pubbliche e il contenuto delle circolari ministeriali afferenti all’insegnamento delle discipline e un compendio di unità didattiche presentare nell’ambito dei corsi di Alta Formazione PriMED tenuti in Lombardia. Se, nel primo caso, è interessante il punto di vista dell’approccio metodologico, in ambito storiografico, che si muove tra i ai concetti di “pratica discorsiva” e di “strategia discorsiva” è comunque evidente la difficile replicabilità o adattabilità a contesti culturali come quello nostro. Per quanto riguarda le proposte di unità didattica, invece, mancano riferimenti alle specificità del gruppo classe dove le azioni didattiche si sono realizzate, ovvero informazioni tipo il numero degli alunni coinvolti, la loro nazionalità, la fede religiosa praticata, la presenza di alunni con DSA o affetti da disabilità e sarebbe stato apprezzabile, nonché di notevole interesse, la condivisione degli esiti post-intervento didattico, attraverso un feedback che ne evidenziasse gli aspetti positivi e le criticità e ne delineasse eventuali pro e contro sia in ambito specificamente didattico che in quello della socialità.

L’indubbio valore del testo è quello di sollevare una questione attuale molto importante, quella della necessità di ripensare il ruolo educativo e di guida della scuola all’interno di un contesto sociale caratterizzato da complesse dinamiche interculturali, intra-culturali e plurali. L’islam, più di altre religioni, catalizza attorno a sé emozioni forti e sentimenti contrastanti che hanno bisogno di spiegazione e di riconoscimento attraverso un percorso di conoscenza e di superamento dei pregiudizi che dovrebbe partite proprio da una rimodulazione dei curricoli scolastici che devono aprirsi alla pluralità religiosa all’insegna della conservazione delle diversità. Perché diversità culturale vuol dire ricchezza. E perché essere italiani non coincide con essere cattolici.

 

[1] XXVI Rapporto ISMU sulle migrazioni 2020.

[2] Marco Catarci, Massimiliano Fiorucci (a cura di) ORIENTAMENTI INTERCULTURALI PER LA CITTADINANZA ARMANDO EDITORE Il presente volume viene distribuito in copia gratuita poiché realizzato con il contri- buto del FEI (Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di Paesi terzi), progetto “Orientamenti interculturali per la cittadinanza”, annualità 2012, Azione 3 (“Progetti giovanili”), PROG. 103940

[3] La legge 92 del 20 agosto 2019 ha introdotto dall’anno scolastico 2020-2021 l’insegnamento trasversale dell’educazione civica nel primo e secondo ciclo d’istruzione, con iniziative di sensibilizzazione alla cittadinanza responsabile a partire dalla scuola dell’infanzia. ha sensibilizzato ad un approccio pedagogico ed educativo interculturale più consapevole, che ha visto il coinvolgimento di una collaborazione più partecipata tra docenti, frutto anche di percorsi formativi ad hoc proposti dal Ministero dell’Istruzione per il tramite degli Uffici Scolastici Regionali, al fine di “rispondere alle domande di senso degli studenti, coniugando scuola e vita” (Granata, 2016).

 

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