A cura di Federica Candido, Martina Cittadini, Giulia Conti, Filippo Mariani, Sara Giorgetti, Michele Trabucco

Michele Madonna insegna Diritto canonico e Diritto ecclesiastico all’Università di Pavia. Nell’intervista con lui abbiamo cercato di mettere in luce, da un punto di vista giuridico, le fasi storiche e i passaggi legislativi più importanti rispetto all’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica italiana, ma soprattutto abbiamo provato a fare chiarezza in merito a quella che più volte è stata definita “materia del nulla”: l’attività alternativa all’IRC.

1. Dal punto di vista giuridico, come descriverebbe la “situazione” italiana in cui l’insegnamento di religione cattolica è impartito nelle scuole pubbliche? Quali sono state le condizioni storiche e le scelte politiche che hanno prodotto questo stato di fatto?

Per prima cosa mi soffermerei sui modelli di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche, che sono sostanzialmente due: il primo tende ad equiparare il più possibile l’insegnamento della religione cattolica alle altre materie scolastiche, comportando un’ampia competenza in materia dell’autorità scolastica circa la formazione e la nomina degli insegnanti, ma anche la definizione dei programmi e l’adozione dei libri di testo; il secondo tende a considerare l’insegnamento della religione cattolica come un’attività consentita, “ospitata” dalla scuola, ma in una posizione nettamente differenziata rispetto alle altre materie scolastiche. Quale dei due modelli è adottato oggi in Italia? Tendenzialmente vi è una prevalenza del primo modello, a differenza di quello previsto dal Concordato lateranense del 1929. Con l’Accordo di Villa Madama tra Italia e Santa Sede del 1984, ci si ispira di più al primo dei due modelli citati, in quanto si configura un insegnamento scolastico della religione, anche se allo stesso tempo è un insegnamento confessionale perché posto sotto la vigilanza della Chiesa cattolica. Questi due caratteri non sono omogenei e, quindi, possono coesistere, in quanto si può realizzare un insegnamento culturale ma impartito confessionalmente. Vi è poi un terzo cardine del sistema rappresentato dal rispetto della libertà religiosa, da cui deriva il diritto (per le famiglie e per gli studenti) di scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento stesso. Questa impostazione è stata ritenuta dalla Corte costituzionale compatibile con il principio di laicità dello Stato.

2. Quindi, qual è la sostanziale differenza tra i Patti del 1929 e il Concordato del 1984?

Sostanzialmente nel Concordato del 1929 la principale motivazione che ispira l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche è di stampo confessionista: poiché vi è una religione dello Stato, che è quella cattolica, si presuppone il suo insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado, esclusa l’università. La motivazione che ispira il Concordato del 1984, invece, non è più confessionista – tra l’altro non è più in vigore il principio della religione cattolica come religione di Stato (punto 1 del Protocollo Addizionale all’Accordo del 1984) – ma storico-culturale: si riconosce un valore della cultura religiosa e si ritiene che i principi del cattolicesimo facciano parte del patrimonio storico italiano, e pertanto si garantisce la presenza dell’IRC. Ma perché, allora, deve essere un insegnamento confessionale? Ciò deriva dal principio di distinzione degli ordini, per il quale solo la Chiesa cattolica può dire cos’è la religione cattolica e garantire la conformità del suo insegnamento. A differenza del ’29, in cui l’insegnamento era obbligatorio salvo dispensa, ora si può scegliere se avvalersi o non avvalersi dell’IRC, ma comunque bisogna esercitare una scelta. Si tratta di un sistema senz’altro più rispettoso del diritto di libertà religiosa rispetto a quello previgente.

3. Potrebbe precisarci nel dettaglio com’è disciplinato l’insegnamento di ora alternativa in Italia?

Ecco questo è veramente un punto dolente perché la disciplina dell’ora alternativa all’ora di religione è molto frammentaria, direi anche molto lacunosa. Alcuni studiosi hanno parlato dell’ora alternativa come di una sorta di “fantasma” che si aggira nella scuola pubblica italiana, citazione storica abbastanza singolare (di ascendenza marxiana), ma effettivamente non molto lontana dalla realtà. Oggi, in base alla normativa vigente, chi non si avvale dell’IRC può svolgere attività didattiche formative con un insegnante appositamente incaricato, oppure può svolgere attività di studio o di ricerca individuali con l’assistenza del personale docente. Vi è una terza possibilità, cioè che lo studente possa svolgere attività di studio o ricerca individuale senza l’assistenza del personale docente (questo solo nelle scuole superiori), oppure vi è l’opzione della non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica, se in base all’orario se ne ravvisa la possibilità. Questa quarta opzione, quella di lasciare la scuola, in realtà discende dalla giurisprudenza della
Corte costituzionale, perché originariamente non era prevista. Vi è anzitutto la sentenza della Corte n. 203 del 1989, molto importante perché per la prima volta in essa si parla della laicità dello Stato come principio supremo dell’ordinamento costituzionale. Il termine laicità non compare nella Costituzione del 1948 (la Costituzione francese, invece, definisce espressamente la repubblica come “laica”), né in altri testi normativi italiani. Per i giudici della Consulta, la laicità non implica “indifferenza” dei pubblici poteri nei confronti del fenomeno religioso, ma è “garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. In questa sentenza la Corte afferma che la previsione di un’altra materia per i non avvalentesi come obbligatoria costituirebbe una discriminazione a loro danno perché proporrebbe l’attività alternativa, nei confronti dell’ora di religione, quasi come se tra l’una e l’altra corresse uno schema dell’obbligazione alternativa. Invece, per i giudici, di fronte alla scelta di avvalersi o non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, ci si trova in presenza di un diritto di libertà costituzionale, cioè la libertà religiosa, che non è degradabile a una opzione tra equivalenti discipline scolastiche. Quindi, la Corte costituzionale afferma chiaramente che chi sceglie di non avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica si trova in uno stato di non obbligo. In una sentenza successiva del 1991, n. 13, la Corte fornisce la precisazione ulteriore su che cosa significhi lo stato di non obbligo degli studenti che non si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica, affermando che tra le possibili scelte vi è anche quella di allontanarsi o assentarsi dalla scuola durante l’ora di religione. Questo è il quadro e per questo avevo detto che la Corte Costituzionale considera l’attuale assetto normativo compatibile con il principio di laicità dello Stato.
4. Rispetto a tale questione, però, sembra ci sia un vuoto normativo perché allo studente (o alla famiglia, nel caso in cui sia minorenne) che decide di non avvalersi  dell’insegnamento di religione e decide per l’esonero si deve garantire o lo studio individuale, supervisionato dal personale docente, oppure un’attività alternativa gestita da un docente. Tuttavia, ciò che si dà per “garantito” si basa su una fragilità importante: la figura di docente di attività alternativa non è disciplinata in nessuna sede, né tantomeno una specifica classe di concorso per accedere a questo insegnamento…
Ripeto che questa è una grave lacuna. La Corte Costituzionale dice che gli studenti che non si avvalgono dell’IRC sono in uno stato di non obbligo e ciò impedisce che ci sia un’attività alternativa obbligatoria. Manca però una disciplina in positivo dell’ora alternativa all’IRC. E questo pone dei problemi rilevanti; per questo, si è parlato di un fantasma o, persino, dell’ora del nulla.

5. Abbiamo parlato dell’insegnamento di religione cattolica, di come è normato e anche dei diversi passaggi storici e delle scelte politiche che hanno portato a disciplinare l’insegnamento di questa materia a scuola e abbiamo parlato anche di com’è disciplinato l’insegnamento di attività alternativa e dei vuoti che si sono formati nel tentativo di normare questo “territorio” lasciato aperto. Secondo il suo parere, sul piano normativo, ritiene che sia più corretto tenere separati l’ora di IRC, la cui gestione è di pertinenza della Chiesa cattolica, e l’insegnamento di alternativa, normato su scala nazionale, oppure immaginare un insegnamento unico legato al fatto religioso laico e gestito a livello ministeriale?

Devo confessare di non avere un’opinione ben definita in merito; in realtà, tutte le soluzioni che si possono prospettare e che sono state proposte presentano dei vantaggi e, al contempo, degli inconvenienti. Bisogna fare una precisazione che ci collega a quanto detto in risposta alla prima domanda: ipotizzare l’istituzione di un insegnamento del fatto religioso laico è dal punto di vista giuridico estraneo alla dinamica concordataria. È un qualcosa che sta al di fuori del Concordato e non può, a mio avviso, stare dentro il Concordato, perché un accordo concordatario tra lo Stato e la Chiesa non avrebbe titolo a operare una scelta per un corso di questo tipo, perché sostanzialmente sarebbe in contrasto col principio di distinzione degli ordini di cui all’articolo 7 della Costituzione e, forse, con lo stesso principio di laicità dello Stato. Quindi, il Concordato non ha trattato né è di sua competenza trattare questo aspetto. Questo insegnamento ‘laico’ del fatto religioso potrebbe trovare legittimamente cittadinanza nella scuola al di fuori della dinamica concordataria se ci fosse una scelta politica e culturale che guardi verso questo orizzonte.
Rispetto ad alcune proposte avanzate in tempi passati e recenti, mi pare molto interessante quella di un importante pedagogista e storico dell’Università Cattolica, Luciano Pazzaglia, negli anni Settanta, quindi prima della revisione del Concordato del 1984. Egli aveva proposto un corso istituzionale di cultura religiosa, obbligatorio per tutti gli studenti che avrebbe dovuto toccare tre questioni: innanzitutto, la domanda di senso religioso comune a tutti gli uomini, e in questo contesto potevano prevedersi anche spazi per visioni atee e agnostiche, poi la specifica natura della risposta religiosa, il terzo momento riguardava lo studio delle visioni specifiche di quelle che definiva religioni positive. Questo insegnamento, nella visione di Pazzaglia, avrebbe dovuto essere affiancato (egli parlava di una sorta di “doppio binario”), da altri corsi corrispondenti alle altre visioni religiose a cura delle altre confessioni religiose. Oggi nell’ambito della legislazione scolastica, ancor di più nell’ambito
dell’autonomia scolastica, sarebbe possibile proporre un corso di questo tipo. Alcuni lo propongono un po’ come aveva fatto Pazzaglia come corso obbligatorio, altri propongono di inserirlo tra le attività alternative all’insegnamento della religione cattolica.
Negli ultimi anni sono state avanzate alcune proposte a livello ministeriale e a livello politico, come la proposta dell’Onorevole Giovanna Melandri (2010), o le prese di posizione del Ministro dell’istruzione tra il 2011 e il 2013, Francesco Profumo, ma non si è giunti mai a un modello concreto sul piano operativo. Ora è chiaro che il carattere obbligatorio di questo insegnamento ha destato e potrebbe destare qualche perplessità, perché lo Stato sembrerebbe determinare per legge cosa si debba intendere per cultura religiosa e su questa linea imporne a tutti gli studenti l’insegnamento. Quindi alcuni propongono di pensare ad un insegnamento di storia delle religioni di tipo laico, non come obbligatorio e sostitutivo di quello della religione cattolica, ma che affianchi l’insegnamento della religione cattolica e anche ad altri insegnamenti di natura confessionale impartiti da incaricati designati dalle altre confessioni religiose, o anche di morale laica. Per questo dicevo non ho un’opinione perché entrambe le strade hanno i loro pro e i loro contro. Se da un lato, durante i lavori dell’Assemblea costituente, Aldo Moro aveva detto che bisognava evitare di dare vita ad uno “Stato teologo” che facesse propria una visione religiosa a scapito della libertà delle altre confessioni religiose, dall’altro è evidente sul piano culturale il diffuso analfabetismo religioso. Occorrerebbe forse ripensare in termini strutturali l’intero sapere del fatto religioso in Italia e non solo l’insegnamento della religione.

6. Quali potrebbero essere i processi giuridici e politici aventi come fine il garantire la regolamentazione dell’insegnamento dell’ora alternativa?

Se guardo al panorama politico attuale, non vedo particolari accelerazioni sulla regolamentazione di questa normativa. Ma forse potrei essere smentito anche a breve. Quindi nell’inerzia del legislatore, come abbiamo visto, spesso sono i giudici a potere dare un contributo, come in parte è già avvenuto. Vi faccio alcuni esempi. C’è una sentenza piuttosto nota del Consiglio di Stato, la sentenza 2749 del 2010 che ha stabilito la legittimità della partecipazione degli insegnanti di religione all’assegnazione del credito scolastico. Il TAR Lazio aveva detto che la partecipazione era illegittima, mentre il Consiglio di Stato afferma che è legittima. Per quanto riguarda l’alternativa, non interessa questo che era il tema decidendum principale della sentenza. Peraltro, nella parte finale di questa sentenza, con delle considerazioni che non erano legate al tema principale, il Consiglio di Stato ha invitato il Ministero dell’Istruzione a prevedere un’attivazione generalizzata di corsi alternativi alla religione. I giudici del Consiglio di Stato dicono che la loro mancanza rischia di compromettere e pregiudicare la libertà religiosa dei non avvalentesi, i
quali avrebbero come sola alternativa quella di non fare nulla, a parte eventuali iniziative individuali o di cosiddetto studio assistito. Quindi, nel momento stesso in cui il Consiglio di Stato legittima la presenza degli insegnanti di religione per l’assegnazione del credito, sostiene al contempo che il Ministero deve attivare l’insegnamento alternativo, perché altrimenti si potrebbe configurare una discriminazione (vietata dallo stesso Concordato) nei confronti di chi non si avvale, che non può avere come alternativa il nulla. Questo è già un primo aspetto. Poi vi è stata l’ordinanza n. 1176 del Tribunale di Padova del 2010, secondo la quale l’attivazione di corsi alternativi all’insegnamento della religione costituisce un obbligo delle scuole, che se disatteso pone un comportamento discriminatorio illegittimo per chi non si avvale, che potrebbe essere anche fonte di responsabilità risarcitoria dell’istituto scolastico. Quindi anche questa sentenza va nella direzione di prevedere obbligatoriamente le attività alternative. Sulla base di queste e di altre indicazioni giurisprudenziali, alcuni passi in avanti sono stati fatti anche a livello ministeriale, perché la circolare n. 59 del 23 luglio 2010 del Ministero dell’Istruzione ha evidenziato la necessità di assicurare l’insegnamento dell’ora alternativa agli studenti interessati, e il Ministero dell’Economia con una nota del 7 marzo 2011 di concerto col MIUR, ha stabilito che le attività alternative sono un servizio strutturale obbligatorio da pagare a mezzo dei ruoli di spesa fissa. Queste sono tutte indicazioni giurisprudenziali che vanno verso il rafforzamento dell’insegnamento dell’alternativa. Per tornare alla questione del credito scolastico, ci sono state diverse pronunce della giurisprudenza amministrativa che sostengono che i docenti di attività alternativa non possono essere legittimamente esclusi dall’assegnazione del credito. A seguito di queste pronunce, anche il Ministero si è adeguato: l’ordinanza 41 del 2012 riguarda le modalità organizzative degli esami di Stato afferma che i docenti di attività alternativa svolgono il medesimo ruolo di quelli di religione cattolica e, così come i docenti di religione cattolica partecipano a pieno titolo alla deliberazione del consiglio di classe concernenti l’attribuzione del credito scolastico per gli alunni che si avvalgono, i docenti delle attività didattiche formative alternative devono partecipare alle deliberazioni per i discenti che seguono queste attività. Quindi questo è un altro aspetto, perché dal punto di vista del credito scolastico vi è stata anche qui una parificazione tra gli insegnanti di religione e gli insegnanti di attività alternativa con riferimento all’esame di Stato. Quindi, secondo me, la giurisprudenza potrebbe dare, come in parte ha già dato, un impulso rispetto all’inerzia del legislatore, ma ripeto che potrebbero esserci anche riforme legislative, anche se non le vedo all’orizzonte.

7. Considerando i casi e le sentenze sopra citate, si può dire che nell’ultimo ventennio c’è un maggiore pronunciamento della giurisprudenza su questi temi?

Sì, indubbiamente nell’ultimo periodo c’è stata un’attenzione maggiore da parte della giurisprudenza su questi aspetti. Credo che questo ci sia stato non per una volontà della giurisprudenza, ma perché la realtà ha sollecitato la riflessione su questi temi e oggi c’è una diversa sensibilità delle persone su tali problemi. Inoltre, ha un grandissimo peso il fatto che si va sempre di più verso una società davvero multiculturale e quindi anche multireligiosa.

8. In riferimento all’ora di alternativa, il ministero non prevede nessun titolo di accesso, se non quello di essere un insegnante. Dal punto di vista del diritto scolastico, chi deve essere il docente di attività alternativa?

Questo è un altro grande problema dell’ora fantasma, ma è anche lo spazio dove potrebbero trovare cittadinanza quelle proposte di cui abbiamo parlato; ci sono stati anche studiosi che hanno parlato di un percorso da fare un passo alla volta. Per esempio, già inserire insegnamenti ‘laici’ di storia delle religioni nell’attività alternativa sarebbe comunque un passo avanti, perché pensare questo insegnamento come obbligatorio, oltre a generare i problemi e gli inconvenienti a cui abbiamo accennato, può essere anche un obiettivo più difficile da raggiungere dal punto di vista politico-normativo. Invece, inserirlo in un terreno in cui l’ora alternativa non è determinata in positivo, potrebbe essere una strada percorribile.

9. Quindi pensare ad un modello in cui l’insegnamento della religione cattolica rimane così com’è e, al contempo, si introduca un insegnamento laico dedicato al fatto religioso che non sia esclusivo della religione cattolica non andrebbe contro il Concordato?

No, come già accennato, rientrerebbe nelle attività alternative. E si potrebbe forse anche farlo insegnare da persone che si sono laureate in Scienze delle Religioni. Se noi prevediamo questo insegnamento come obbligatorio, oltre al problema generale prospettato da Moro dello “Stato teologo”, vi potrebbe essere anche un altro problema pratico prospettato da alcuni studiosi. Se vi è un solo insegnante del fatto religioso come insegnamento obbligatorio, nel caso che l’alunno poi non si avvalga di altri insegnamenti facoltativi, quale l’insegnamento della religione cattolica o di altre religioni, di fatto sarebbe questo l’unico insegnante a garantire la formazione religiosa in senso ampio di questo alunno. Nonostante esista una lealtà educativa dell’insegnante e una sua deontologia professionale, avere un solo insegnante del fatto religioso potrebbe comportare dei rischi di una formazione religiosa a senso unico, quale che sia.

10. Quali orizzonti intravede rispetto all’insegnamento della materia alternativa e quali proposte avanza?

A mio avviso l’emergenza di oggi è quella dell’analfabetismo religioso, per tale ragione bisogna andare verso un rafforzamento e una valorizzazione sia dell’insegnamento della religione cattolica, sia di materie alternative che prevedano altre tipologie di insegnamenti religiosi, o di insegnamento laico del fatto religioso. Carlo Bo, grande intellettuale cattolico del Novecento, circa 40 anni fa aveva criticato un certo modo di insegnare la religione a scuola. Egli aveva detto che ogni difetto dell’insegnante di religione si tramuta in colpa, trasformando questo insegnamento in un enorme spreco. O peggio ancora, per chi vede le cose da un punto di vista cristiano, diceva Carlo Bo, in una lunga offesa. Anche Don Lorenzo Milani, in un passaggio di Lettera a una professoressa (1967) in cui si parla dell’insegnamento della religione, afferma che il Vangelo è il libro più importante della storia, e nella scuola non gli viene dato quasi alcuno spazio. “Perché non ci avete pensato?”, chiede provocatoriamente Don Milani e ancora più provocatoria è la sua risposta. “Forse è perché chi ha fabbricato la scuola aveva un po’ in sospetto Gesù perché era troppo amico dei poveri, troppo poco amico della roba. Quando avrete dato al Vangelo il posto che gli spetta l’insegnamento della religione diventerà una cosa seria”. Ora queste osservazioni di Carlo Bo e di don Lorenzo sono ancora attuali e riguardano sia l’insegnamento della religione sia l’attività alternativa. Oggi noi potremmo rischiare di avere non solo un enorme spreco ma due enormi sprechi: l’insegnamento della religione e quello della alternativa, nonostante ci siano validissimi insegnanti di religione e di attività alternativa nelle scuole italiane. Un banco di prova che potrebbe rappresentare anche una prospettiva di sviluppo è quella dell’insegnamento trasversale dell’educazione civica. A questo insegnamento, che ha tra i suoi nuclei fondamentali, proprio indicati a livello di programmi ministeriali, la Costituzione repubblicana del 1948, lo sviluppo sostenibile, la cittadinanza digitale, possono partecipare e dare un contributo importante, sia gli insegnanti di religione, sia gli insegnanti di attività alternative all’IRC. Voglio richiamare ancora Luciano Pazzaglia, colui che aveva proposto l’insegnamento laico e del fatto religioso, e che aveva dato una bella definizione di scuola laica sempre negli stessi anni. Egli aveva detto che per scuola laica si deve intendere una scuola che è fondata sul concorso di tutti ed è aperta a tutti. Una scuola laica evita di fare sua una determinata visione del mondo, però nello stesso tempo non propone un mortificante illusorio silenzio sulle questioni che dividono. È una scuola che invita a confrontarsi con le varie visioni del mondo, con le concezioni degli altri, senza obbligare nessuno a rinunciare alla propria identità. Qui ci richiamiamo ancora una volta alla Costituzione Repubblicana del 1948, che è anche la Magna Carta della scuola, è la legge fondamentale dello Stato, ma è anche la legge fondamentale della scuola. Piero Calamandrei diceva in proposito che la Repubblica non è fatta solo dal Parlamento, dalla Magistratura, dal Governo, ma è fatta anche e soprattutto dalla scuola, perché è da essa che passano i valori della Costituzione. Quindi definiva la scuola addirittura un organo costituzionale. Questa impostazione personalista e pluralista del nostro impianto costituzionale ci suggerisce qual è
l’obiettivo di fondo della scuola, quello di formare delle persone che siano messe in condizione di compiere le loro scelte in termini di rigorosa consapevolezza e libertà. Questa è la scuola laica secondo Pazzaglia, ed è una visione che mi convince molto e che è molto in linea con la visione della nostra Costituzione.

 

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