Di Isabella De Paolis

Nel corso del secondo semestre dell’a.a. 2021/2022 si è tenuto, presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre, il laboratorio intitolato “Religioni nel mondo globale”, frutto della collaborazione tra i corsi di Lauree Magistrali “Movimenti e tendenze dell’Islam contemporaneo” (Prof. G. Gervasio); “Storia delle religioni” e “Religioni e spazi urbani” (Prof.ssa M.C. Giorda). Oltre alle lezioni seminariali dei due docenti che lo hanno coordinato, il laboratorio ha visto la partecipazione di esperti esterni – studiosi, ricercatori, esponenti della società civile locale e internazionale e personalità di comunità religiose italiane e internazionali – che hanno trattato questioni attuali e sollecitato gli studenti ad un confronto critico e partecipato.

In piena linea con la specificità didattica propria del laboratorio universitario, ovvero quella di inserirsi nell’ambito della proposta curriculare attraverso una modalità più diretta, un setting più ristretto e una partecipazione più attiva, il laboratorio “Religioni nel mondo globale” il 12 maggio scorso è uscito dalle aule di via Ostiense 234 e si è spostato in uno dei quartieri più super-plurali1 di Roma, Tor Pignattara, alla scoperta di alcuni luoghi-simbolo di diverse comunità religiose. Situato nel quadrante sud-est della capitale con una superficie di poco più di 200 ettari che ospita circa il 22% di stranieri su un totale di circa 50 mila residenti, Tor Pignattara è un luogo che sfugge a una definizione netta e univoca. È periferia, ma si trova a pochi chilometri dal centro storico; è una zona cuscinetto caratterizzata da un’alterità unica rispetto al Pigneto, che negli ultimi decenni ha vissuto una gentrificazione alternativa e un po’ naïf, e alla zona attorno a largo Preneste, fatta di condomini in cortina della classe media, negozi e supermercati. Seppur a ridosso dal quartiere dormitorio del Casilino 23, Tor Pignattara è un quartiere vivo e variegato, a volte difficile, dove si trovano piccole botteghe di ogni specie (artigiani, forniture di servizi e bazar) e con appartamenti dagli affitti abbordabili che hanno chiamato immigrati per lo più provenienti dal sud-est asiatico. È il quartiere che ieri ha vissuto, tra le mura scolastiche e per le strade, battaglie mediatiche e politiche e che, oggi, promuove il Taste de World, la rassegna cinematografica Karawan e le attività dell’Ecomuseo Casilino. Insomma, è il quartiere degli ossimori: delle false verità dei servizi televisivi, della lucida follia della convivenza di più fedi religiose, della dolcezza amara degli sguardi dei migranti italiani, del rumore sordo del trenino che lo attraversa e lo divide in due. Premesse, queste, che hanno contribuito a scegliere il quartiere di Tor Pignattara come luogo della pluralità religiosa e della multiculturalità per una lezione itinerante del laboratorio “Religioni nel mondo globale”.

Com’è noto, la didattica laboratoriale ha come obiettivo quello di declinare le competenze del “saper fare” e del “saper essere” attraverso la contestualizzazione di contenuti disciplinari e interdisciplinari, mediante l’attivazione delle soft skills degli studenti. Si tratta, a livello operativo, di costruire delle vere e proprie officine operative che possano dare vita a una modalità di apprendimento integrato che si concretizzi come il luogo della triangolazione teoria-prassi-teoria dove sia valorizzato il modello metacognitivo delle competenze che, a sua volta, rimanda ad un processo di autovalutazione critica.

In quest’ottica la giornata trascorsa per le vie di Tor Pignattara ha rappresentato un momento di riflessione e di dialogo tra studenti, docenti e addetti ai lavori intorno a punti chiave di alcuni luoghi di culto visitati.

La superdiversità delle viuzze di Tor Pignattara, tra i colori sgargianti dei panni stesi sui fili dei balconi che ci portano in India, Bangladesh e Pakistan e gli odori di spezie e frutti esotici provenienti dai piccoli negozietti su strada si apre, in punta di piedi, alle varie fedi e religioni.

La prima tappa è Casa Scalabrini, che accoglie famiglie e giovani rifugiati e promuove attività e percorsi di formazione rivolti a richiedenti asilo, rifugiati, migranti e alla comunità locale. Legata al programma dell’Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione allo Sviluppo (ASCS Onlus), Casa Scalabrini è sostenuta dalla Congregazione dei Missionari di San Carlo, che da 130 anni è al servizio dei migranti e dei rifugiati in 32 paesi del mondo e accoglie sia cattolici che musulmani, lavorando, sin da subito e senza mediatori linguistici, sull’autonomia individuale che possa favorire l’integrazione nel contesto circostante.

Le temperature decisamente estive di una giornata primaverile anomala non fermano la curiosità di più di 40 studenti intervenuti, che ascoltano le spiegazioni fornite dai “padroni di casa”, visitano gli spazi comuni della casa, dalla mensa ai vari angoli del giardino che la circonda, dalla sartoria alla stazione radio.

Proseguendo sulla via Casilina il serpentone di studenti e docenti, che fa pensare ad una fila ordinata di pellegrini o di scolari, raggiunge il Mausoleo di Sant’Elena, eretto da Costantino nel quarto secolo dopo Cristo. Sorto a ridosso della Basilica in onore dei martiri Marcellino e Pietro, il mausoleo diede inizio alla cristianizzazione monumentale del sobborgo e, oggi, è il simbolo del quartiere di Tor Pignattara a cui dà il nome (le anfore che decorano il Mausoleo erano chiamate, in gergo, “pignatte”). Le informazioni dettagliate sia dal punto di vista storico-religioso che archeologico dell’antropologo Carmelo Russo, cicerone dell’itinerario, forniscono non pochi spunti di riflessione e di possibili approfondimenti agli studenti del laboratorio che, lungo gli spostamenti a piedi, commentano i luoghi visitati e guardano, con occhi interessati, lo spazio circostante.

Passeggiando accanto all’Acquedotto Alessandrino, a ridosso del Parco Giordano Sangalli, si giunge alla Madonna della Capannuccia, simbolo di una credenza popolare cristiana, sorto sul luogo dove si narra che un gruppo di bambini il 17 maggio del 1948 abbia visto una luce abbagliante, mentre uno di loro avrebbe riconosciuto le fattezze della Vergine. Oggi è una piccola cappella dove i fedeli si recano a pregare; all’interno le pareti sono ricoperte da decine di targhe “per grazia ricevuta”, risalenti in gran parte agli anni ’40. Un po’ ovunque, si trovano santini, statuette, fiori, cartoline di papi, un tavolino dedicato a Padre Pio, in un’atmosfera che riporta ad una fede arcaica. L’ingresso alla cappella, contingentato per motivi di spazio, ha dato vita al formarsi spontaneo di vari gruppi di studenti coinvolti in piacevoli conversazioni sull’itinerario, evidenziando un’atmosfera rilassata e un coinvolgimento emotivo empatico.

Poco più avanti il gruppo raggiunge il Muslim Center in via Carlo Della Rocca 23, che da supermercato è diventato oggi, il luogo di preghiera principale per la comunità musulmana del quartiere, in gran parte di nazionalità bengalese; il tempio ’Om Hindu Mandir in via Amedeo Cancelli 23A e, infine, il Centro educativo Bahá’í, sito in via Bernardo Buontalenti 29, che ha iniziato l’attività un paio di anni fa. Ciò che accomuna i tre luoghi di culto è l’assoluto anonimato con il quale si affacciano nell’ambiente circostante. In tutti e tre i casi l’entrata, su strada, è quella di una vetrina di un negozio qualsiasi, noto ai soli interessati e forse a qualche curioso. Nonostante ciò, l’attività delle tre sedi risulta essere molto fervente e attiva.

L’imam del Muslim center e i suoi collaboratori accolgono studenti e docenti con calore e affetto. Gustando ottimi datteri e biscotti home-made, gentilmente offerti dai fedeli musulmani, gli studenti sono prima conquistati dalle spiegazioni della giornata tipo in moschea e dalle attività culturali proposte in collaborazione con l’Ecomuseo Casilino e altre organizzazioni attive nel quartiere e, poi, impegnati in un compito di divulgazione digitale assegnato dai docenti. L’atmosfera rilassata e, al tempo stesso, effervescente di studenti che scattano fotografie, chiedono traduzioni di insegne e affisse sul muro, cercano di ripetere la pronuncia corretta di termini già noti dagli studi pregressi ma alterati dalla fonologia latina conferma il successo dell’uscita laboratoriale.

Last but not least, il Centro educativo Bahá’í accoglie nei suoi ampi locali climatizzati gli studenti e i docenti di Roma Tre, sfiniti dal caldo torrido, e li immerge in una dimensione religiosa sconosciuta alla maggior parte degli intervenuti. Partendo dalla massima “Tutti gli uomini sono stati creati per far avanzare una civiltà in continuo progresso” di Bahá’u’lláh, fondatore della fede Bahá’í, che campeggia su una lavagna bianca al centro della sala, il responsabile della comunità di via Buontalenti illustra i punti focali della visione Bahá’í di un mondo migliore, che trae spunto da insegnamenti come l’unità del genere umano, la parità tra le donne e gli uomini, l’eliminazione dei pregiudizi, l’armonia tra la scienza e la religione.

L’incontro con una fede religiosa poco nota genera, tra gli studenti, curiosità e interrogativi e, dunque, la necessità di trovare risposte chiare ed esaurienti che i fedeli sanno fornire.

Senza dubbio tutti i luoghi di culto visitati sembrano essere accomunati dalla stessa mission, ovvero la promozione della cultura dell’incontro, dell’accoglienza e dell’integrazione tra i fedeli e la comunità locale attraverso l’incontro, il dialogo, le relazioni formali e informali, le festività condivise e gli appuntamenti sociopolitici.

Oltre l’impressione generica avuta nel corso della giornata, pur attraverso un’osservazione attenta e partecipata, sono stati rilevati dati più attendibili mediante la somministrazione agli studenti di un questionario strutturato e di interviste sulla giornata del 12 maggio.

Lo studente-tipo che ha partecipato all’uscita a Tor Pignattara organizzata nell’ambito del laboratorio “Religioni nel mondo globalizzato” è in corso, frequentante, sta lavorando alla propria tesi di laurea e ritiene che l’uscita didattica abbia avuto un peso rilevante nel proprio percorso di studio, per vari spunti di ricerca individuati. È interessante notare che più della metà degli studenti abbia frequentato il laboratorio e partecipato all’uscita didattica per puro interesse personale, al di là di quanto fosse previsto dal proprio piano di studi. L’idea dell’uscita didattica è piaciuta a tutti, più della metà degli studenti l’ha definita, relativamente alle proposte offerte e all’organizzazione della giornata, un’esperienza decisamente positiva. Nonostante non siano mancati episodi, per lo più spontanei, di aggregazione, soprattutto durante l’uscita didattica, più della metà degli studenti propone di valorizzare la socializzazione all’interno del laboratorio. Un invito ai docenti, dunque, affinché vengano programmate attività di gruppo volte ad implementare un apprendimento cooperativo e a facilitare dinamiche di collaborazione reciproca. Dal punto di vista più squisitamente didattico circa il 70% degli studenti ritiene che la realizzazione della triangolazione formativa teoria-prassi teoria sia decisamente positiva.

Per quanto riguarda la giornata dell’uscita del 12 è rilevante menzionare il momento di convivialità condivisa durante la pausa pranzo. La proposta degli organizzatori del laboratorio, ovvero un pranzo vegetariano presso il Bazar Taverna Curda Meticcia di via Casilina 607 a base di borek, hummus, falafel e biryani ha accolto un altissimo consenso di partecipanti. I locali interni ed esterni della taverna, in pochi minuti, si sono affollati di studenti che in un contesto informale, socializzante e divertente (sono alcuni degli aggettivi ricorrenti nelle risposte del questionario), e sotto il caldo torrido di un’estate in anticipo hanno quasi dimenticato di essere a un laboratorio universitario, a Roma.

 

[1] Per spiegare le nuove peculiarità del fenomeno Vertovec utilizzò il termine superdiversity che definisce come “a notion intended to underline a level and kind of complexity surpassing anything the country has previously experienced. Such a condition is distinguished by a dynamic interplay of variables among an increased number of new, small and scattered, multiple-origin, transnationally connected, socio-economically differenti- ated and legally stratified immigrants who have arrived over the last decade”. Cf. S. Vertovec, Super-diversity and its implications, in “Ethnic and Racial Studies”, 30 (6), 2007, pp. 1024-1054.

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